Nicola Aquamonti e il volley

Nicola Aquamonti e il volley

INCIPIT

Lunedì

Il ritorno alla routine stava in fondo giovando a Nik, lo psicologo Nicola Aquamonti, e pure a sua moglie Pamela, dopo le vacanze invernali, fitte di avvenimenti. Discese felici sugli sci con visioni incantevoli di campi bianchissimi di neve, smaglianti sotto un sole che non aveva mai smesso di splendere per tutto il periodo di vacanza. E anche divertimento semplice, fatto di cori alpini e di rustici ma squisiti pranzi montanari con gli amici. Però tutto questo senza requie, via uno l’altro.

Adesso un poco di tranquillità ci voleva. Del resto lo psicologo era pronto a riprendere le sue corse verso la soluzione di qualche problema. Ne era abituato, ma ogni volta gli capitava di chiedersi se fosse davvero il caso di accettare ogni proposta, davvero il caso di caricarsi di casi di difficile soluzione e delle responsabilità che comportavano. Ma sempre il suo animo generoso rispondeva che sì, ne valeva la pena.

Così non rifiutò la visita alla signora Magda Amato, presentata da un collega che aveva confessato di non riuscire a capirci nulla, sulle cause della sindrome ansiosa della donna. E niente avevano capito i due psicologi precedenti, nonché un paio di psichiatri da cui la paziente aveva in pratica rifiutato ogni tipo di farmaco. La causa principale degli insuccessi degli psicologi andava ricercata nel fatto che l’Amato non collaborava: non c’era verso di farla partecipare alla terapia. Lei si isolava, come dietro a un muro di cristallo, e non si riusciva in alcun modo a intaccare questa sua posizione di difesa del proprio ego. Ma Nik era avvezzo a risolvere casi che per altri medici della mente erano rimasti insoluti e insolubili.

La signora Amato si presentò alle 10 in punto, non un minuto in più e non uno in meno. Non si trattava dunque di un’ansiosa, visto che non era arrivata in anticipo? Eppure lo psicologo che gliel’aveva indicata aveva parlato di attacchi di panico, certamente legati con gli stati ansiosi. O invece amava talmente la precisione da imporla rigidamente anche a se stessa? Questo, pensò lo psicologo, poteva costituire il segnale di un carattere fortemente impositivo, anche contro di lei. Buon indizio di probabili forti sensi di colpa.

La donna entrò nello studio con passo svelto, deciso, come può farlo una dirigente industriale, qual era. Il capo era tenuto alto e la schiena diritta, quasi fosse un militare. Un soggetto fortemente sicuro di sé, dunque? Ma Nik sapeva che una persona debole e arrendevole può fingere un carattere rigido: si tratta di un tentativo di non perdere il dominio su se stessa, perché lo teme con tutto il proprio essere. E può percepire un sintomo di sottomissione come un crollo emotivo. Quindi deve difendersi, a qualunque costo. L’analisi avrebbe in ogni caso rivelato di qual tipo si trattava.

La signora si tolse il cappotto firmato e lo buttò con noncuranza sul divano, trascurando il portamantelli dello studio, come aveva trascurato quello dell’ingresso. Si sedette sulla poltroncina senza che Nik l’avesse invitata a farlo, diede un’occhiata rapida a quanto la circondava, accavallò le gambe, magre nei pantaloni marroncini a quadretti, forse un poco troppo larghi, e poi puntò gli occhi sullo psicologo: “Mi hanno parlato talmente di lei”, esordì, “che non ho potuto fare a meno di farmi prenotare una visita. Ed eccomi qui. Ma ho poco tempo, l’avverto”.

Lui trovò strano che l’Amato mostrasse di non conoscerlo, se non per le segnalazioni di suoi colleghi. In effetti, oramai il suo viso era noto pressoché a tutti, perché non c’era giornale che non avesse pubblicato qualche articolo su di lui e Pamela, sovente considerata l’ispiratrice, tanto che un redattore l’aveva soprannominata ‘la stupenda musa di Aquamonti’. Allo psicologo venne in mente che il mondo dei mass media non si era mai dimenticato della sua bellezza, offrendole più volte di posare per calendari sexy, piuttosto che per pubblicazioni per soli uomini. Pamela aveva sempre rifiutato, anche reagendo alle proposte con atteggiamenti di rimprovero per i proponenti. Secondo lei, quello era un modo per costringere le donne sempre più nella loro situazione, come del resto era stato scritto più volte, di ‘oggetto del desiderio’ maschile. Ma solo del desiderio fisico, del desiderio meramente sessuale. Le ragazze che si prestavano forse non si rendevano conto di non fare altro che alimentare questa convinzione primordiale.

Nik osservò la signora che gli stava seduta di fronte valutandone inconsciamente l’aspetto. Doveva essere stata molto bella ed era ancora attraente, nonostante il cipiglio che non pareva abbandonarla. Sembrava prossima alla cinquantina, età ben mascherata dal trucco e dalla linea quasi perfetta. Forse era un poco sottopeso, come sembrava attraverso i vestiti. Nik si accorse che incominciava a incuriosirsi di lei, ma impedì all’empatia di entrare in azione. E chiese, saltando ogni preambolo: “In cosa posso esserle utile, signora?”.

“Non le hanno parlato di me?”.

“Certo. Ma vorrei sapere da lei”.

“Mi hanno detto che lei scopre da solo i disturbi e la loro origine, dottore”.

Nik non disse nulla. Comprese che quella donna era entrata nello studio con l’idea inconscia di sfidarlo. E lui non aveva alcun desiderio di combattere, se non contro la patologia che l’affliggeva. Ma desiderava che fosse lei a comunicarlo. La donna lo fissò ancora più profondamente: “E allora?”, chiese, non senza una certa impertinenza.

A Nik venne in mente un caso riferito da Jung. Quando il grande psicologo aveva parlato di sesso a una sua cliente altezzosa e piena di boria, lei, ferita nella sua albagia, gli aveva rifilato un violento ceffone. E Jung, senza batter ciglio, gliel’aveva restituito, lasciandola esterrefatta, ma più disponibile alla terapia. Si stava riproponendo un caso del genere?